Parliamo di... "Lo scafandro e la farfalla" (Recensione)
- Lo Scisma
- 21 mag
- Tempo di lettura: 2 min

Jean-Dominique Bauby; Ponte alle Grazie, 1997
«La mia voce è una palpebra. Con un battito apro il mondo, con un altro lo chiudo. Ma ogni parola mi costa la fatica di un naufrago che scrive sulla sabbia prima che arrivi l’onda.»
Lo scafandro e la farfalla è il racconto incredibile di una mente intrappolata in un corpo immobile, ma ancora capace di volare grazie alla forza delle parole e di un solo battito di ciglia. Jean-Dominique Bauby, ex direttore della rivista Elle, viene colpito a 43 anni da un ictus che lo lascia completamente paralizzato. La diagnosi è impietosa: locked-in syndrome. La mente è lucida, sveglia, pienamente cosciente, ma il corpo non risponde più. L’unico muscolo rimasto sotto il suo controllo? La palpebra dell’occhio sinistro.
Eppure, Bauby non si arrende. Con quel solo battito di ciglia, detta lettera dopo lettera, aiutato da una collaboratrice che gli legge l’alfabeto un carattere alla volta, questo libro toccante e lucidissimo. Un’impresa immane: migliaia di battiti, pazienza infinita, forza di volontà fuori dal comune.
Lo scafandro è il suo corpo rigido, prigione d’acciaio da cui lo spirito non può uscire, mentre la farfalla rappresenta il pensiero, l’immaginazione, la memoria, strumenti che l’autore utilizza per viaggiare, amare, ricordare e scrivere. Le pagine raccolgono piccoli frammenti di vita sospesa: lo sconcerto del risveglio in un corpo sconosciuto, i ricordi intimi della paternità, il dolore della perdita, la tenerezza delle visite, la nostalgia, la rabbia, ma anche momenti di ironia pungente, di sarcasmo sottile, di poesia.
Bauby non fa mai della sua condizione un manifesto patetico: il testo ha in sé un'umanità leggera, che galleggia. La prosa è capace di contenere enormi abissi in una sola frase. Nella sua immobilità totale, Bauby offre una testimonianza di straordinaria lucidità e vitalità, sempre un passo oltre la tragedia.
La grande forza del libro è quella di trasformare l’inimmaginabile in esperienza condivisa. È una lezione dolce e spietata sull'identità, sul corpo, sulla coscienza, ma anche sul potere della mente di creare mondi, a dispetto di tutto. Un libro relativamente corto, poco più di 120 pagine, ma che lascia il segno, proprio perché ogni parola è pesata, pensata e faticosamente pronunciata.
Consigliato a… chi riflette sul confine tra coscienza e prigionia; a chi non teme di entrare nell’abisso dell’umano per ritrovarne la meraviglia. Per chi crede che le parole siano ancora capaci di trasformare, anche se sussurrate da un solo occhio.
«Seduto nella mia sedia a rotelle, immobile come una statua greca, io sono ancora io. Con la mia farfalla. E le sue ali battono, sillaba dopo sillaba, come un messaggio spedito al mondo.»
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