Parliamo di... "Frankenstein" (Recensione)
- Lo Scisma
- 5 nov
- Tempo di lettura: 2 min

Frankenstein; Rizzoli, 2015
«Tutti gli uomini odiano i disgraziati; quanto allora devo essere odiato io, che sono ben più miserabile di ogni cosa vivente! Anche tu, mio creatore, detesti e disprezzi me, la tua creatura, alla quale sei legato da lacci che solo l'annientamento di uno di noi potrà sciogliere. Ti proponi di uccidermi. Come osi giocare così con la vita? Fai il tuo dovere verso di me, e io adempirò al mio verso di te e il resto dell'umanità.»
Frankenstein è uno di quei grandi classici di cui tutti, prima o poi nella vita, dicono: “questo devo leggerlo”, e poi continuano a rimandare, oppure lo leggono davvero. Poi iniziano a dire la stessa cosa di Dracula, ma quella è un’altra recensione.
Nel 1816, durante un'estate fredda e piovosa passata sulle rive del lago di Ginevra, Mary Shelley aveva diciannove anni. Un incubo, una sfida lanciata da Lord Byron e una conversazione sul galvanismo bastano per accendere la scintilla: nasce così Frankenstein o il moderno Prometeo, un romanzo che attraversa i secoli.
Victor Frankenstein è uno scienziato ambizioso, ossessionato dal desiderio di oltrepassare i limiti naturali. La sua creatura, assemblata con pezzi di cadavere, rianimata da una scintilla che sa di elettricità e di orgoglio, fugge subito dalla scena, lasciando a Victor paura, rimorso e silenzio. Ma è con la voce del mostro che si racconta che il libro cambia tono: un essere abbandonato ancor prima di nascere, che vuole soltanto essere guardato, accettato, amato.
Scritto in forma epistolare, incastonato come una matrioska di racconti nel racconto, il romanzo si muove tra orrore gotico e dolore profondo. Mary Shelley non si limita a costruire una figura mostruosa: dà voce a un’ombra che attraversa i secoli, e che somiglia più a noi di quanto vorremmo ammettere. Al centro non c’è solo la creatura, ma il peso di averla messa al mondo: la colpa, la solitudine, la paura di ciò che non si comprende. Frankenstein è anche questo: una riflessione sul rischio di spingersi troppo oltre, inseguendo il progresso come se non ci fossero conseguenze.
Frankenstein è il mito di ciò che accade quando l’uomo si prende per Dio ma scappa davanti alle proprie creature. È un racconto di paternità mancata, di solitudine non voluta, di alterità respinta. Ma è anche un libro in cui il male, a ben guardare, non ha mai contorni netti: dove il mostro può essere più umano del suo creatore; dove il dolore scava il cuore dei personaggi fino a renderli irriconoscibili, l’uno dentro l’altro.
Rileggerlo, soprattutto oggi, significa interrogarsi su cosa facciamo, e su cosa creiamo, quando perseguiamo un sogno senza fare i conti con chi siamo.
Consigliato a… chi ama le storie che scavano nell’animo umano, a chi cerca nei classici interrogativi ancora irrisolti, a chi sente il bisogno di comprendere il diverso, e magari anche sé stesso ma da un’altra prospettiva. Per chi non si ferma all’apparenza e cerca l’umanità nascosta dietro la maschera del mostro.
«Se non posso ispirare amore, allora causerò terrore.»




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