Anselm Feuerbach, Paolo und Francesca, 1864
I versi del V canto dell'Inferno di Dante risuonano da sempre nella mente dei lettori che non possono fare a meno di emozionarsi dinanzi alle parole dell’anima dannata in eterno:
«Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona».
A parlare è l’anima di Francesca, moglie del signore di Rimini, e innamorata del fratello del marito, Paolo. Dante, giunto nel secondo cerchio infernale, superata la guardia dall’aspetto bestiale, Minosse, osserva la pena inflitta alle anime dannate che ha dinanzi: queste, infatti, così come sono state travolte dalla passione amorosa, ora, nell’inferno, sono travolte da una bufera che le percuote e le trascina con violenza.
Nonostante la condanna che Dante infligge all’amor cortese, da cui ha preso le distanze - l’amore che prova per Beatrice non ha nulla a che fare col corpo -, dà voce ai due innamorati e all’amore che ancora li domina. La grandezza di questi versi sta nella descrizione che il poeta offre: Dante, così come il lettore, è vicino alla sofferenza e all’amore raccontati dall’anima di Francesca; c’è un coinvolgimento tale che spinge il poeta e chi legge a riconoscersi nella grandezza di questo sentimento. Certo, un amore nato nel peccato - Francesca infatti è sposata - ma ugualmente intenso. Afferma l’anima della donna, sotto gli occhi curiosi del poeta:
«Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante».
Il racconto di Francesca, dunque, si fa intenso, pieno di dettagli: leggendo per diletto, e in solitudine, la vicenda amorosa del cavaliere della tavola rotonda, gli occhi dei due amanti iniziano ad incontrare lo sguardo l’uno dell’altra fino al momento culmine in cui le loro labbra si avvicinano traboccanti di passione. Il poeta, che ascolta le sofferenze dell’anima di Francesca, partecipa emotivamente alla narrazione che lo conduce dapprima alle lacrime e, infine, a un turbamento e ad un’emozione che lo fa svenire. È «amor» - ripetuto per ben tre volte in quest’anafora volta a sottolineare la forza del sentimento - a condurre i due amanti al bacio fatale. «Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse» afferma l’anima della donna: il libro, dunque, in particolare il bacio tra Ginevra e il valoroso Lancillotto, avvicina per sempre - quindi anche nella morte - i due amanti. Così come Galeotto spinge Lancillotto e Ginevra a dichiararsi, allo stesso modo la lettura del libro rivela i sentimenti dei due innamorati.
«Amor», che «ratto» (rapidamente) si accende nel cuore nobile, racconta Francesca, «prese costui de la bella persona che mi fu tolta» (fece innamorare Paolo del mio bel corpo che mi fu tolto), «e ‘l modo ancor m’offende» (e la passione ancora mi domina).
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