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Parliamo di... "Il tempo delle tartarughe" (Recensione)

Aggiornamento: 25 lug 2023

Francesca Scotti; Hacca edizioni, 2022


«Sono seduti sulla roccia, hanno sbucciato un po’ la punta delle scarpe per arrivare lì. Sospirano, il mare è così potente. La risacca, il gorgoglio. Flavia e Lorenzo hanno occhi solo per l’orizzonte, le dita intrecciate per non lasciare che il senso di essere lì sfugga. Ma poi qualcosa distrae Flavia, forse un odore o un suono d’acqua più sordo. Così guarda in basso, in una fenditura. “Aiutami, dobbiamo tirarla fuori”, dice mentre un’onda alta le bagna le gambe» (p. 25)


Leggere i quindici racconti della raccolta di Francesca Scotti è come guardare un piccolo lago, o uno stagno. Nonostante la bellezza del luogo, la freschezza e la limpidezza, non si può non percepire, con una certa angoscia, il fondo, limaccioso e misterioso, che è parte inseparabile dell’acqua, poiché l’uno è causa e conseguenza dell’altro. Così i personaggi e i temi sono al tempo stesso portatori di forza positiva e di una contro-forza inaccessibile e perturbante. Gli incontri, che dovrebbero rivelarsi catartici o liberatori, non fanno che infittire la trama.


In Runa, il racconto che apre la raccolta, una donna anziana appena arrivata nel suo luogo di villeggiatura estiva rivive scene della propria infanzia. Ricorda l’estate, confronta quella passata con quella presente, percepisce lo spaesamento e il senso di protezione di abbandonarsi alle decisioni degli altri: che si tratti dell’amica di un tempo che la lascia a fare il palo mentre ha un appuntamento notturno con un ragazzo, o che si tratti dei propri figli adulti, che la depositano in un albergo per anziani per poter fare le vacanze in santa pace.

La prossima fermata è un racconto che tiene nascosto il soprannaturale sotto il velo delle parole e delle immagini. Michiko, una bambina che torna da scuola in treno, trova seduta al suo solito posto una donna con gli occhi chiusi. Durante il tragitto, mentre insieme ai paesaggi e alle stazioni scorrono anche i ricordi e le riflessioni, la bambina prova a svegliare la donna con piccoli rumori e movimenti, ma è tutto inutile; e quando alla fine ci riuscirà, all’ultima fermata, la donna gli rivelerà che la semplice quotidianità che stava vivendo è in realtà il punto di accesso a un altro mondo.

Il racconto Il tempo delle tartarughe è quasi una danza. I due protagonisti, una coppia che deve cercare di risolvere i propri problemi, trovano in riva al mare una tartaruga incastrata fra gli scogli. Da quel punto in poi, niente sarà più importante che cercare di salvarla, di ridarle dignità; ma è come se il tempo di quella tartaruga fosse impossibile da continuare, nonostante gli sforzi, nonostante la volontà.

In Festa a sorpresa, invece, l’incontro centrale è esplosivo, confusionario. Sveva, la protagonista, arriva per caso a fare a pugni con una povera donna che incontra in un parco, verso cui Sveva prova sia disprezzo, sia superiorità (anche se ne resta affascinata). Ciò che porta Sveva a sentirsi superiore nei confronti della donna è sapere che a casa la aspettano il marito e la figlia, che le stanno preparando la festa a sorpresa per il suo cinquantesimo compleanno. Questo le dà vanto, ma al tempo stesso la annoia; ma non sa che la sorpresa del suo compleanno in realtà non sarà la festa, ma qualcosa di più desolante.

L’ultima storia da segnalare è La signora Nakano, un testo che racconta il passare del tempo come una macchina inarrestabile e sorda, una macchina che schiaccia chi non è in grado di comprenderla. L’anziana signora Nakano è convinta che prima di demolire la sua casa dovranno passare ancora molti anni, ma quando infine arriveranno le ruspe, lei non cambierà la sua idea e il suo stile di vita semplice.


Consigliato a… chi cerca uno stile delicato ed evocativo, misurato e al tempo stesso denso di espressione; chi non si accontenta di storie semplici e fini a se stesse; chi vuole osservare le vite dei personaggi, le loro illusioni e i loro sogni, percependo rigo dopo rigo di essere parte di un mondo che ci ignora.


«Dopo tanto fragore, schianti, stridori, rumore di cingoli, finalmente se ne sono andati ed è tornato il silenzio. [...] Le ortensie dipinte sull’armadio si mescolano alla terra e ai cocci di porcellana, le tegole con il legno e la paglia dei tatami. È andata in pezzi. Si è fatta terra e scheggia. Mi siedo lì, sul marciapiede, ad aspettare il tramonto. Un vento leggero mi sfiora la pelle mentre il cielo si trasforma.» (p. 52)




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