G. Meacci; Edizioni Industria & Letteratura, 2022
«Sei mesi un anno ha detto il dottore. E io gli ho detto facciamo anche due: e ho riso. Ma il dottore non rideva. Ci può essere stato uno sbaglio, ho chiesto io. E lui: è la seconda volta che rifacciamo, nessuno sbaglio, mi dispiace. E mi ha guardato come se si aspettasse qualcosa di diverso da me. Ma io gli ho detto che sono ottimista, si sa. E alla fine gli ho dato la mano e ho sorriso: è stato più forte di me. “Se vuoi che gli altri ti ascoltino”, diceva mio padre, “sorridi sempre. Parecchi non si ricorderanno quello che gli dicevi. Ma che sorridevi, sì”.» (p. 11-12)
Carlo Cane è un personaggio pubblico. In quanto tale, esiste una ricostruzione oggettiva della sua vita, sull’enciclopedia biografica Treccani, su Wikipedia, e anche sui numerosi saggi e articoli che sono stati scritti su di lui. Tutti sanno che Carlo Cane, malgrado le sue umili origini, è stato un civil servant, uno dei protagonisti della svolta conservatrice dell’Italia, periodo in cui si è costruito una degna carriera politica, partendo dalla provincia nelle file di Forza Nuova, per poi passare alla Lega e infine a Forza Italia, da cui, grazie alla volontà del Presidente della Repubblica Berlusconi, viene nominato Sottosegretario al MiSE nel primo governo Meloni. Da qui una lunga carriera sempre nei vertici ministeriali, che abbandona solo per dedicarsi all’azienda di famiglia.
Carlo Cane è noto per aver inasprito la legge sulla fecondazione assistita, per essere stato uno dei più forti oppositori alle sanzioni europee nei confronti degli Emirati Arabi e per aver saldamente legato il settore energetico italiano all’azienda russa GasPout.
Attraverso i documenti pubblici, attraverso le bozze di articoli e anche attraverso gli ultimi ricordi di Carlo (che ormai si prepara a morire) riviviamo la vicenda privata di un uomo pubblico, di un cittadino che da semplice membro attivo dell’elettorato riesce a ricoprire uno degli scranni più prestigiosi dello Stato, intessendo relazioni personali (più o meno trasparenti) con gli uomini più potenti e spietati della Terra. Carlo, anche nei momenti di massimo successo, anche nelle pagine in cui è all’apice del suo percorso lavorativo, non smette mai di essere, agli occhi del lettore, un personaggio fragile, spaventato e soprattutto – e questo stride con la sua posizione di comando – un uomo in balìa degli eventi; un uomo che non ha mai risolto le angosce della sua infanzia.
È impossibile non provare empatia con Carlo, con la sua vicenda normale e straordinaria, ed è impossibile non dimenticare chi Carlo si è impegnato ad essere. E questo porta il lettore a rimettere in discussione il proprio ruolo di cittadino, la sua responsabilità nell’interpretazione dei fatti storici o personali che siano. L’autore sfida le nostre coscienze: per quello che ha vissuto, per quello che ci viene testimoniato, provare empatia per Carlo può venire naturale. Mentre quello che ha fatto, proprio perché noto e sotto gli occhi di tutti, può essere lasciato a piè di pagina, e dimenticato.
Consigliato a… chi vuole provare a scandagliare la profondità di un personaggio senza mai riuscire a soddisfare la ricostruzione della sua essenza; chi ama il ricorso a diversi punti di vista, a diversi stili narrativi e a diverse forme testuali; chi vuole provare la vertigine di sentirsi parte di un qualcosa di estraneo, eppure così simile.
«Lorenzo è netto. “E te comincia a stà zitto. Poi si vede”. Il figlio lo guarda. Il tempo sembra essersi ripiegato su sé stesso inghiottendo tutte le ore che Carlo ha trascorso in quella stanza prima di trasferirsi a Milano. Al nord. “Oi. La verità è quella che uno dice. E se la dici, continui”. Carlo guarda suo padre come se dovesse conservare quel suo lampo di saliva ai bordi della bocca per sempre.» (p. 34-35)
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