Pieter Bruegel, Lotta tra Carnevale e Quaresima, 1559
Il carnevale (carnem-levare: “togliere la carne”) è la festa popolare che precede la quaresima, i quaranta giorni di penitenza e avvicinamento a dio prima della Pasqua cristiana. Travestimenti, divertimento, manifestazioni, sfilate: a definire il carnevale è l’uso della maschera, molto spesso dalle caratteristiche grottesche. Indossando una maschera, “usciamo fuori dal nostro corpo”, rompendo in qualche modo con la regolarità della realtà.
Ciò che mi sembra interessante è l’aspetto storico di questa festività. Molto simili al nostro carnevale erano i Saturnali, una festa religiosa celebrata nell’antica Roma in onore della divinità Saturno. Abolite le disuguaglianze, a favore di una parità fra i ceti sociali, gli schiavi, finalmente uomini liberi, prendevano il posto dei padroni e, molto spesso, venivano serviti da questi ultimi.
Un detto latino, molto diffuso nel Medioevo, recitava: “semel in anno licet insanire”, ovvero “è lecito impazzire una volta all’anno”. Soffermiamoci su questi due termini: “è lecito” - “una volta all’anno”. Come scrive Umberto Eco, «il Medioevo era un’epoca piena di contraddizioni, in cui alle pubbliche manifestazioni di pietà e rigorismo si accompagnavano generose concessioni al peccato [...]». È soprattutto nel Medioevo che possiamo osservare delle feste di tipo carnascialesco: alla cultura ufficiale - quella rigorosa della chiesa e del feudalesimo - si opponeva infatti una liberazione momentanea in cui travestimenti, parodie del sacro, grida, gesti osceni trionfavano nelle piazze medievali. Secondo il critico letterario Michail Bachtin, autore de L’opera di Rabelais e la cultura popolare: riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, «il carnevale, in opposizione alla festa ufficiale, era il trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalla verità dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù».
Le feste popolari e carnevalesche, come già affermato, altro non erano che momenti di rivolta periodici e istituzionalizzati, rappresentativi di una liberazione momentanea dall’ordine sociale. Rispetto all’ufficialità dei riti religiosi, in cui a prevalere erano l’ordine e le gerarchie sociali, il carnevale si presentava come trionfo concesso del disordine. Ad emergere, dunque, era una vera e propria rappresentazione del grottesco; l’elogio della bruttezza, l’oscenità, i bisogni primari, tutti i lati più riprovevoli della vita popolare - considerati bassi e indegni dalla cultura ufficiale - trovavano spazio in queste feste di piazza. Il popolo, attraverso il riso - inteso come scatenamento di pulsioni -, poteva ribellarsi alle regole sociali e morali mostrando tutto ciò che nell’uomo esiste e da cui, invece, la cultura vigente prendeva le distanze.
Una festa popolare dalle caratteristiche carnascialesche, in voga nel Medioevo, era la Festa dei Folli; questa, molto diffusa in Europa, evocata dall’autore francese Victor Hugo nel romanzo Notre-dame de Paris (1831), veniva festeggiata a cavallo tra la fine di dicembre e l’inizio del mese di gennaio. Caratterizzata dal riso, da un linguaggio basso e osceno, la Festa dei Folli costituiva un evento in cui il popolo poteva sbeffeggiare le istituzioni. Un esempio di questo atteggiamento canzonatorio, teso al rovesciamento dell’ordine precostituito, era l’elezione di un papa dei folli, parodia di momenti religiosi importanti. «Il carnevale», scrive Bachtin, «non conosce distinzioni fra attori e spettatori»: buffoni, nani, deformi, privi in effetti di una maschera, manifestazione assoluta della gioia e comicità, diventavano quindi i protagonisti della festa carnascialesca.
Riferimenti bibliografici:
Umberto Eco (a cura di), Storia della Bruttezza, Bompiani, Milano 2007, p. 137.
Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare: riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1995, pp. 13 e 10.
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