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Parliamo con... Marianna Vitale, autrice di "Soltanto giovani"


Oggi vi proponiamo la chiacchierata che AvA e Monaco hanno fatto con Marianna Vitale, autrice della raccolta Soltanto giovani, pubblicato a settembre 2022 da Augh! Edizioni. Nata a Rimini nel 1993, Marianna Vitale si occupa di copy per il settore turistico. Dal 2018 al 2020 ha frequentato il biennio di Scrittura alla Scuola Holden. Alcuni suoi racconti sono presenti su “Rivista Blam”, “Tropismi”, “Spazinclusi” e “World Literature Today”, mentre una sua traduzione è stata pubblicata nella sezione “Abbecedari” di “Spazinclusi”.


Soltanto giovani è la sua prima raccolta di racconti. Nel libro entriamo in contatto con i problemi e le trasformazioni dell’adolescenza. La comunanza fra i vari personaggi – che ritornano anche in storie diverse – è il tempo e lo spazio, ovvero l’età dell’adolescenza nella città di Rimini.

Nel libro il lettore si confronta con varie esperienze: la conflittualità nella tessitura di relazioni amicali, la scoperta del corpo, la costruzione della propria identità e l’incontro con l’alterità, lo spirito d’avventura, la paura, la depressione e la morte. Il tutto raccontato con uno stile che ricorda il mare calmo che si abbandona sulla spiaggia.


Quanto tempo ti ha preso la stesura del libro?

«In totale ho impiegato circa due anni, anche se non sono stati anni di scrittura consecutiva. È un progetto iniziato quando frequentavo la Scuola Holden (dal 2018 al 2020): il secondo anno come progetto finale dovevamo scrivere un libro. Il libro è uscito nel 2022, ma tra la scrittura dei vari racconti è passato del tempo, anche per via degli impegni lavorativi. Ho deciso di scrivere racconti perché avevo quell’idea. Non avevo una macro idea per una trama di un romanzo, ma piccole storie in testa.»


Il libro presenta una divisione in sezioni e l’aspetto della ciclicità: ci vuoi spiegare questa scelta?

«Trattandosi del risultato di un progetto della Scuola Holden, dovevo presentare un’opera come fosse un percorso: per questo ho cercato di dargli una forma di opera compiuta e non slegata, in modo che le storie dialogassero fra loro. Il punto di riferimento del libro è Rimini, la mia città, e il tema principale è quello dell’adolescenza. Per la divisione mi sono ispirata ad Amarcord di Fellini, anche perché mi sembrava di descrivere la città in tutti i periodi dell’anno. Rimini non è, come molti pensano, una città in cui il tempo si ferma alla fine dell’estate: a me piace viverla sempre, anche d’inverno.»


Tu hai già pubblicato alcuni tuoi racconti su diverse riviste online. Nel libro ritornano personaggi, suggestioni o temi con cui ti eri già confrontata?

«Sì. In particolare ritorna il tema dell’adolescenza: ho scelto questo argomento perché, quando mi metto a scrivere, anche senza avere idee precise, vado sempre a parare lì. Anche perché sono giovane, e queste sono le tematiche e i traumi che conosco meglio. I personaggi che ho scritto, in realtà, sono cambiati nel tempo, durante le varie riscritture.

Il racconto Confini, il primo che ho scritto, è stato pubblicato anche su “Spazinclusi”.»


Quindi tendi a sviluppare temi e argomenti già noti. Ti capita di avventurarti in spazi che non conosci?

«In realtà sì, da ragazzina avevo anche autopubblicato due romanzi, spaziavo con la fantasia. Adesso mi è semplicemente più facile parlare di ciò che conosco. Anche se, per quanto riguarda le situazioni adolescenziali che ho raccontato, non tutte le ho vissute sulla mia pelle.»


Fra questi c’è un racconto a cui sei più legata? Uno che per te è emblematico per la raccolta?

«Il racconto che mi piace di più è Il corpo, che è anche uno dei primi che ho scritto. Non è uno di quelli con la tematica più forte, ma secondo me rappresenta bene l’adolescenza, parla un po’ di me: ci sono affezionata. È anche un racconto emblematico di tutto il libro, perché al suo interno si parla di amicizia, cambiamento, sesso. Un altro testo rappresentativo potrebbe essere La colonia in cui due ragazzini alle prime armi vogliono vivere delle avventure, come potrebbe capitare a tutti.»


C’è invece un racconto che hai trovato più difficoltoso scrivere?

«L’ultimo, La cosa giusta da fare. Ho provato anche a scriverne altri prima di arrivare a questo, mentre decidevo di dare una struttura circolare al libro. Quando poi ho trovato l’idea è stato facile.»


Il tuo stile è molto descrittivo e curato. A quali letture devi questa scelta?

«Non sono una che fa grandi riscritture. Se trovo le parole bene, sennò mi fermo e scrivo un’altra volta. Come autori direi Amy Hempel, in particolare Le ragioni per vivere, che ho letto durante la stesura del mio libro: è scorrevole, ma mi ha trasmesso tantissimo. Fra l’altro mi è stato consigliato dalla mia tutor della Scuola Holden mentre lavoravo al mio progetto, ma in realtà lo stavo già leggendo.»


Da Cambiare pelle: “Sotto quello sguardo, a Giada sembrò di essere bidimensionale, come un disegno o una foto, qualcosa che si può accartocciare e gettare via se non soddisfa le aspettative.” Come descriveresti l’universo femminile nel tuo libro?

«Cerco di mettere poco di me, anche se a volte non è facile. Ad alcuni personaggi ho cercato di dare un carattere forte. Ad esempio Emma, in La cosa giusta da fare, si ribella ad una situazione che non ha scelto ma che le è piovuta addosso. Tuttavia c’è chi è più succube, come Rebecca in Lividi, anche se in altri racconti ha un carattere diverso, cerca di animare la festa. Ho cercato di rendere più sfaccettature. C’è da dire però che quando crei un personaggio, poi se ne va in giro da solo.»


Alcuni personaggi ritornano tra i vari racconti: la tua idea iniziale li prevedeva come personaggi ricorrenti, oppure lo sono “diventati” perché ritenevi avessero altro da dire?

«Era programmato, tranne che per i primi racconti, quando ancora non avevo in mente la raccolta. Quando poi ho dato il via al progetto, ho deciso di farli ritornare. In uno dei primi che ho scritto, L’ignoto, ho ideato un gruppo di amici, sapendo già che poi sarebbero ritornati: volevo incrociarli il più possibile.»


In un’intervista hai sottolineato come per te la parte più difficile nella stesura di un racconto sia il finale, perché deve lasciare qualcosa nel lettore che riverberi anche dopo la chiusura del libro. Com’è stato doverti cimentare con ben dodici finali diversi? C’è un finale che vorresti cambiare?

«È stato faticoso. Scrivere il finale di un romanzo è difficile, sì, ma è un cerchio che si chiude, sai già che c’è un finale giusto per la storia. Il racconto invece deve finire un poco prima. È stato difficile. I finali di alcuni racconti sono stati anche riscritti.»


Ce ne sono alcuni di cui ti penti?

«No, ma il più difficile – quello che più è stato tagliato da chi mi ha fatto editing – è Il campeggio

È vero, lì si percepisce una sospensione che a tratti è persino inquietante, soprattutto perché, per come si stava sviluppando la storia, risulta imprevedibile.

Torniamo al titolo Soltanto giovani: potresti riassumere, anche per i lettori, quali sono secondo te i problemi dell’adolescenza?

«L’adolescenza in sé è un problema. Quando sei lì non riesci a cogliere le potenzialità, il fatto che hai tutte le strade davanti (anche se non sai cosa fare). Per questo dovresti apprezzare quel momento, e invece hai voglia di crescere. Alla fine i traumi dell’adolescenza te li porti dietro, perché è un’età in cui sei più vulnerabile. Non so se i problemi di oggi sono diversi da quelli che ho vissuto io quando ero adolescente. Il problema dell'autolesionismo, ad esempio, l’ho osservato anche oggi, forse è una ricerca di attenzioni.»


Hai qualche altro lavoro in cantiere?

«Ufficialmente ho deciso che inizierò da gennaio 2023. Non ho ancora un’idea precisa, però voglio provarci lo stesso. Sono convinta che le storie vengano fuori durante la scrittura.»


***


«I due ragazzi siedono vicini e guardano il mare farsi sempre più esteso, una coperta di velluto scuro rimboccata sulla riva, e ogni cosa diventare meno riconoscibile man mano che si sale. Le luci brillano sulle curve del paesaggio come un vestito di strass aderente e le lanterne alla fine del molo mandano segnali colorati a intermittenza.» (p. 14)

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