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Parliamo con… Antonio Laurino, autore di “Binocoli a gettoni”

Oggi vi proponiamo l’intervista che AvA e Monaco hanno fatto ad Antonio Laurino (@antalur), autore di Binocoli a gettoni, raccolta di racconti edita nel 2022 da Scatole Parlanti. Antonio Laurino è nato nel 1986 a Napoli, dove si è laureato in Scienze della comunicazione, prima di trasferirsi a Bologna e specializzarsi in Semiotica. È docente a contratto di scrittura funzionale all’Università di Bologna e all’Università di San Marino, e tutor di digital marketing all’Università “Uninettuno” di Roma. I suoi scritti sono apparsi in antologie, riviste e blog letterari.


Con il suo libro, Laurino ci riporta per un attimo ad un ricordo d'infanzia, quando da bambini chiedevamo un soldino a mamma e papà così da inserirlo in quella magica manovella che ci permetteva, attraverso un semplice binocolo, di guardare lontano, in cerca di una realtà diversa. E proprio di questo tratta la raccolta di racconti: realtà lontane, realtà che si adagiano distanti, che ci viene concesso il privilegio di guardare e sentire, ascoltare; realtà di cui vediamo solo uno scorcio immerso in un tempo che, per quanto simile al nostro, non necessariamente possiamo comprendere.


Il titolo che hai scelto è abbastanza originale. Fa riferimento a qualcosa di “fisso”, di “semplice”, che però permette di ottenere una vista specifica, precisa. Cosa rappresentano per te i binocoli a gettoni?


Sono oggetti piuttosto esotici, intimamente associati a momenti di spensieratezza, vissuti durante gite, escursioni o vacanze. D’altra parte, quella del titolo è stata tra le scelte più difficili che hanno riguardato il libro. Cercavo, infatti, un oggetto che desse concretezza al concetto di consapevolezza declinato nei diversi racconti; qualcosa che fosse familiare ma non banale; che avesse a che fare col vedere e col tempo. E credo di averlo trovato.


Nel testo vengono trattati diversi argomenti, diversi punti di vista, ma una caratteristica che abbiamo notato è che i conflitti sono stemperati, se non addirittura assenti. Pensiamo ai due racconti in cui è centrale la figura del padre, Di parole, colori e città e Desideri rurali: in entrambi i casi, lo scontro diretto padre-figlio viene evitato. Come interpreti questa tua scelta? È una decisione di poetica?


Farei una distinzione tra i due racconti. Nel primo caso, Di parole, colori e città, il conflitto viene evitato, o probabilmente solo posticipato, grazie al ritrovamento fortuito di un oggetto-ponte tra padre e figlio; nel secondo caso, Desideri rurali, lo strappo c'è già stato, e viene in qualche modo ricucito solo dopo la morte della figura paterna. Ma al di là di questo, è un aspetto su cui non ho riflettuto, né mi è stato fatto notare prima. Dunque, vi ringrazio per la domanda. Ci penserò.


Come spieghi la giustapposizione di generi diversi e spesso contrastanti? Pensiamo ad esempio al passaggio da Il rifiuto (molto tragico) a Il vecchietto e il tarlo (fiabesco). Oppure a Centodieci seguito da Chi segna vince, che danno una visione del mondo totalmente diversa. Puoi spiegarci questa scelta?


Questo contrasto è voluto. Mi sono chiesto a lungo quale criterio adottare per definire l’ordine dei racconti e alla fine ho scelto quello del chiaroscuro: creare delle contrapposizioni forti alternando storie a lieto fine, storie malinconiche e storie più propriamente tragiche. L’effetto che volevo ottenere, e che mi fa piacere che voi mi confermiate, è quello di un saliscendi emotivo, oltre che formale.


In molti racconti si parla per allegorie e simbologie (Il vecchietto e il tarlo, Storia di un sei che non sapeva chi fosse, Tra sé e se), giocando in contrapposizione con racconti molto più attenti al verosimile. Quali sono quindi i tuoi modelli narrativi? A quali autori ti sei ispirato per scrivere questo libro?


Non parlerei in senso proprio d'ispirazione, ma di certo ci sono autori e autrici che ho amato particolarmente, le cui opere, stratificandosi, hanno influenzato il mio modo di intendere la scrittura e il racconto. Tra queste ci sono senza dubbio quelle di Manganelli, Buzzati, Rodari, Romagnoli, Parrella, Carver, Hempel, Ritchie e Monterroso.


Uno dei punti di forza dei tuoi racconti sono i finali, spesso imprevedibili e a sorpresa. Quale di questi racconti, secondo te, ha il finale più riuscito? E qual è stato il più difficile da scrivere?


Credo che la risposta a entrambe le domande sia la stessa: Il rifiuto. Lo considero tra i miei racconti migliori ed è anche uno di quelli su cui ho lavorato di più.


Leggendo alcuni racconti abbiamo percepito quelli che, secondo noi, sono dati biografici. C’è qualcosa di vero in questi racconti? C’è qualcosa di te e della tua vita?


Direi di sì. Nessuno dei racconti è propriamente autobiografico, ma in parte lo sono tutti, dal momento che contengono elementi – persone, vicende, condizioni – tratti dal mio vissuto, seppure trasfigurati. Ci sono poi alcune componenti importanti della mia vita che ho inserito in modo esplicito: Napoli e Bologna, ad esempio, l’insegnamento, la musica e il calcio.


Alcuni racconti erano già stati pubblicati, altri sono inediti. Quanto tempo ti ha preso la stesura del libro?


Circa cinque anni, naturalmente in modo discontinuo. È partito tutto da un’esigenza professionale: occupandomi di didattica della scrittura funzionale in ambito universitario, ho temuto che l’apparato di regole, principi e griglie che applicavo e suggerivo a lezione stesse iniziando a diventare una gabbia, e dunque ho deciso di leggere e scrivere anche altro. Ho cominciato dedicandomi alla narrativa breve e mettendo alla prova i miei scritti in occasione di competizioni e call letterarie. Poi, dopo alcuni riconoscimenti, ho realizzato che le mie storie, all’apparenza molto diverse, erano accomunate dall’essere incentrate su un momento di consapevolezza, un istante in cui il personaggio chiave vede le cose per quello che sono. Così ho continuato a scriverne e proporne, ma con l’idea, un giorno, di raccoglierle tutte. Finché, l’estate scorsa, mettendo insieme i vari testi, mi sono reso conto che il risultato era maggiore della somma delle parti. Ed è stato allora che sono nati i Binocoli a gettoni.


C'è un racconto tra quelli che hai scritto a cui sei più affezionato? E perché?


Ce ne sono diversi: Freni e refrain perché è stato il primo che ho scritto e pubblicato; Il rifiuto per il motivo di cui sopra; Di parole, colori e città e Desideri rurali per avermi permesso di vivere, in occasione delle rispettive premiazioni, momenti molto belli con le persone che amo.


Hai qualche altro lavoro in cantiere?


Da alcuni mesi sto lavorando a una nuova raccolta di racconti, stavolta brevissimi, pensata per essere tale fin dall’inizio. Non entro nel dettaglio ora, anche perché spero di avere presto il piacere di parlarvene ufficialmente, se vorrete.


***


«E dunque eccomi qui, in piedi di fronte alla specchiera, nella sala da pranzo ora vuota e silenziosa, con i pollici ancora indolenziti dalla forsennata pressione dei tasti e gli occhi fiammeggianti per la distanza pressoché nulla dalla televisione, a ragionare di come, nell’arco dei dodici mesi appena trascorsi,una parte della mia vita sia venuta meno, e con lei impegni, abitudini, svaghi; di come abbia impiegato l’indesiderato tempo libero che mi sono ritrovato ad avere facendo muovere compulsivamente una sfera di pixel su uno schermo; di come, partita dopo partita, sia scivolato in una profonda regressione adolescenziale. Tutto chiaro, tutto giusto, tutto vero. E nulla di strano nel rendermene conto proprio adesso.»


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