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Parliamo di... "The Silt Verses" (Recensione)

  • Immagine del redattore: Lo Scisma
    Lo Scisma
  • 27 feb
  • Tempo di lettura: 4 min

The Silt Verses (Jon Ware, Muna Hussen); Eskew Productions, 2021-2024


Nella prima metà del ‘900, una delle più popolari forme di intrattenimento era quella del radiodramma, ovvero una performance puramente acustica, trasmessa su radio, che intrattiene l’ascoltatore attraverso i dialoghi dei personaggi e l’impiego di effetti sonori e musica. Con l’avvento della televisione dagli anni ‘50 in poi, la popolarità dei radiodrammi è andata progressivamente a calare, anche se in alcuni paesi come il Regno Unito è rimasta una forte tradizione.

Oggi però la televisione deve fare i conti con internet. La facilità della distribuzione, unita ad avanzamenti nella registrazione digitale, ai relativamente bassi costi di produzione e a una vita molto frenetica in cui spesso non abbiamo tempo di stare seduti davanti a uno schermo, ha dato impeto a tutta una serie di produzioni acustiche, dagli audiolibri ai podcast ai radiodrammi; quest’ultimi, non più su radio (o comunque solo su radio), si potrebbero più propriamente chiamare audiodrammi.


The Silt Verses di Eskew Productions (Jon Ware, Muna Hussen) è un audiodramma distribuito su Apple Podcasts, Spotify (dove l’ho ascoltato io, giuro not sponsored) e Podcast Addict. Mi ci sono imbattuto attraverso il mio amore per i giochi di ruolo: cercando giochi di investigazione, ho scoperto che ne era stato scritto uno basato su una serie horror dalla premessa molto interessante: un mondo moderno fittizio in cui le divinità sono reali e legate alle persone da un rapporto ambivalente, di fede industrializzata.


Da un lato, in The Silt Verses le divinità influiscono sui destini mortali, agendo con modalità spesso aliene e terribili; da un altro, è il credo degli umani a dare forma e forza agli dei, e nell’ambientazione moderna della serie questo è un meccanismo ben compreso e sfruttato. E così ogni azienda studia a tavolino un proprio dio, una mascotte che possa fare presa sulla popolazione e che cambia in base a mode e tendenze del momento. Questi sono i “nuovi dei”, divinità ormai viste come familiari, addomesticate, modellate sulle logiche del mercato, a cui si contrappongono invece i “vecchi dei”, ovvero entità legate a una dimensione più arcaica, a forme più tribali e personali di adorazione, il cui destino è di essere messe al bando dalla società civile o di diventarne parte ed esserne così radicalmente trasformate.


Un aspetto fondamentale di questo universo, però, è che non c’è reale differenza tra queste due categorie. In fin dei conti, come spesso viene ripetuto nel corso della serie, a God must feed (“un Dio deve sfamarsi”); questo è vero sia per i nuovi che per i vecchi dei. E soltanto il sacrificio umano può soddisfare la fame di un dio. Questa è una logica accettata da tutti, che permea ogni livello della società: non è possibile per i personaggi immaginarsi un mondo senza divinità, e dunque senza sacrificio. Per la maggior parte dei cittadini della società civile, il sacrificio umano è qualcosa che avviene in background, una verità: senza sacrifici, le luci non resterebbero accese, i treni non si muoverebbero, non crescerebbe niente nei campi. Alla peggio, è un male necessario. Non è una preoccupazione personale… finché l’azienda per cui lavori non deve fare dei tagli di budget, e allora potresti diventare tu il prossimo sacrificio.


I parallelismi con le logiche capitalistiche della nostra società moderna sono immediati, ma questo non è l’unico tema sociale affrontato nella serie, che tratta anche argomenti come l’uso della propaganda e gli orrori della guerra. In generale, viene dato comunque molto spazio ai personaggi e alle loro vicende, e potete dunque aspettarvi anche tematiche di natura più personale, legate all’influenza della famiglia sulla nostra individualità, alla ricerca di scopi per la propria vita, allo scontro tra quello che vorremmo per noi, le nostre ambizioni, e la brutale realtà dei fatti. Aspettatevi personaggi complessi, che possono cambiare anche radicalmente nel corso della serie, e che interagiscono in modo credibile tra di loro e con il mondo circostante. Segnalo inoltre l’eccellente presenza LGBTQ+, che non è mai un punto di focus della storia ma piuttosto è inserita in modo totalmente organico nell’ambientazione, un dato di fatto.


Da un punto di vista tecnico, non c’è molto da dire. Confesso che non sono un esperto di audiodrammi, quindi il mio è un parere da dilettante, ma ho trovato il sound design eccellente. La recitazione degli attori e lo studiato utilizzo della libreria di suoni riescono a trasmetterti così tanti dettagli e sfumature da lasciarti totalmente immerso nella scena; ciò a mio avviso è facilitato anche dall’assenza di un narratore esterno.


Nel complesso, ho trovato The Silt Verses sorprendentemente profondo e suggestivo. Vi anticipo che la prima stagione è narrativamente un po’ più lenta, con molti monologhi, ma vi assicuro che ciò è essenziale come setup per le stagioni successive. Ammetto che ci sono momenti in cui si richiede all’ascoltatore una certa sospensione dell’incredulità, finché non si riescono ad accettare certi presupposti dell’ambientazione, che presenta sicuramente momenti di assurdità, anche voluti; ma, dopotutto, non ci sono aspetti paradossali nella nostra realtà?



Consigliato a… chi cerca opere che mescolano horror, assurdità e critica sociale; chi apprezza personaggi ambigui e sfaccettati, da amare e da odiare; chi cerca una produzione di alta qualità tecnica e di scrittura.



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