Ruminazione
Illustrazione di Ellepi Illustrations
Strano che della nostra parentesi – come l’hai definita – quello che più mi tormenta sia la tua valigia enorme con le antenne da chiocciola. Trascinarla in stazione all'alba e dirti a presto, restiamo in contatto. Com'è che non prendevo sul serio il tuo addio, che pure era serissimo?
E ancora mi trovo a scriverti – a patteggiare, come dice la Serafini, con la realtà. Perché non so gestire quei contenuti intrusivi.
Come il primo kalimera e la fatica, all'inizio, per capirti – a leggerti le parole sulla bocca. La mia città, i tuoi viaggi – quel legame discreto di occhi e di labbra. Come le birre sul fiume, a contare le nuvole e ridere, senza malizia, delle nostre vite disperate. Che sei sposata e io vado ancora a scuola, mi dici, ma già cerchi il mio braccio. In attesa che spiova.
E mi trascini – sicura, io troppo timido per ballare – in un rebetiko da pensilina. In un gioco di corpi, il confine sono le mani, poi i vestiti. Le labbra. Poi una corsa bagnata e la notte insieme – la prima di poche – nella tua stanza provvisoria, i confini come stracci e il letto che cigola di gioia, in quella tua lingua sempre meno straniera.
Contenuti, come la sera della partenza. Il mio piano – ispirato e un po' brillo – per rivederci, ma tu hai già scelto anche per me: parentesi chiusa. Perché domani torno alla mia vita e tu alla tua – di studente, io di moglie, mi dici – distante mille chilometri.
E come le parole che ti ho detto, imbarazzanti, uscendo dal portone.
È un'alba rigida, a passo marziale, muti. Trascino la tua valigia enorme di cui ancora porto il peso. Ancora percorro quel silenzio con le mani fredde e la bocca impastata, cercando le parole giuste – ruminazione, dice la Serafini – e qualche volta trovandole.
Perché poi viene il resto, settimane e mesi – ore, minuti e secoli – a svolgere la vita come un compito, mettendo la spunta alle giornate.
Devo accettare il passato, dice la Serafini, perché evitarlo è una scorciatoia ma viverci uno spreco. Così ho smesso di cercarti, online come lungo il fiume. Ho cancellato le foto, tutte, e ho finito per credere al tuo addio, che davvero era serissimo.
Sono cambiato, vorrei dirti, più povero, forse più maturo.
Ma le scuse per quelle parole continuo a cercarle. Per riscattare il nostro legame precario – perché qualche contenuto andrà pure salvato in questo mondo di merda.
Ogni giorno una lettera, iniziata e non finita, un’altra parentesi. Aperta.