Le storie della notte
Illustrazione di Ellepi Illustrations
Mia incantata paura, cosa suggeriresti di fare, se ti incontrassi proprio davanti a me? Nulla? Tu, saresti colpevole. E io, senza una parola, sarei colpevole come te. Noi entrambi.
La notte non dormo mai.
Nel buio le mie ossa urlano in tremendi stridii, l’oscurità mi è amica solo se la ascolto. Se la vivo. Così, la notte, cammino. Per quietare il mio male, tutta la notte, tutte le notti. La mia figura curva e tremante è orrenda, ma tutti mi conoscono, nel quartiere, nessuno si spaventa. Credo provino pena, mi riconoscono dalla mia forma e se mi incrociano, alzano appena lo sguardo in un saluto lieve. Tutti mi conoscono. Sembrano disgustati da me, e come dare loro torto, io assomiglio al personaggio cattivo di una di quelle favole che spaventano i bambini. Esco la notte, come un predatore. Non posso fare altro. È il mio destino. La notte non dormo mai.
Cammino, cammino. La via in cui abito è fatta di abitazioni tutte uguali, scale di ingresso ordinate, porte lucide; non si distinguono l’una dall’altra, appaiono disabitate, sole. È notte, nessun rumore, solo le mie ossa che cigolano doloranti, e scandiscono un ritmo fastidioso che gela il sangue risuonando fortissimo nel silenzio. I palazzi: un’inquieta sequenza di chiaroscuri che rassicura la mia fantasia. Penso tanto; sono costretto a pensare. È la mia cura: storie che invento e che mi distraggono dal male. Mi piace crederci.
La notte non dormo mai.
Sono lunghe, le notti, qui, nella mia condizione. Il numero 123 è il mio preferito perché è l’unico palazzo differente: una rifinitura bianca, brillante nel buio, decora i serramenti come un disegno. Qui, adesso, c’è una finestra illuminata, e qui, sotto questa finestra, la sola illuminata del mio palazzo preferito, e la sola illuminata di tutta la via, mi fermerò. Guarderò dentro.
Eppure, io so che quando sono qui, qui sotto, questa finestra è sempre spenta.
Che cosa succede, al suo interno?
Mi ha ricattato. Devo trovare quei documenti, in fretta, con questa luce qualcuno mi vedrà. Ma qui è tutto così buio, sembra non ci viva nessuno, un’intera via dimenticata. Assurdo. La casa è questa, i mobili sono gli stessi, la loro disposizione, la stessa. Mi assale il dubbio, tutto è identico, ma di chi sono questi ricordi? Chi vive, adesso, qui? Ho sbagliato casa. Ho sbagliato.
Dentro la finestra illuminata un ladro sta rubando nella casa. I movimenti dell’intruso, nel contrasto, mi sembrano recitati come un grazioso balletto. Ci siamo io, lui, e la luce della finestra. Guardo il ladro rovistare dappertutto, è molto attento, delicato. Resto a guardare, incapace di qualsiasi reazione. Mi affascina.
Mi hanno visto. Chi mi guarda, immobile, dalla strada, sotto la finestra? Da dove è apparsa quella figura deforme, in tutto questo nulla? Uno scherzo del buio per spaventarmi. Non è niente di umano, solo un’ombra. Che mi osserva.
Il dentro e il fuori la finestra, si incontrano.
‹‹Chi sei?››
‹‹E tu?››
‹‹Il mio è un segreto, nessuno deve sapere.››
‹‹Il mio non è un segreto. Lo conoscono tutti.››
‹‹Sei reale o sei il mio timore che ride di me?››
‹‹Sono solo un mostro come tanti. Come te.››
Il ladro si allontana dalla finestra, spegne la luce, esce. La sua figura nera si fa confusa nel cupo del palazzo. Alla fine dei gradini, un uomo dalla postura tragicamente gobba è appoggiato a un elegante bastone. Restano uno davanti all’altro, opposti. Si guardano senza muoversi.
E il giorno si sveglia.
L’uomo, lento, sale i gradini dell’unico palazzo differente dagli altri di tutta la via. La finestra dove prima appariva il ladro si accende ancora. L’uomo entra nella stanza, si affaccia, respira. Quasi sembra sorridere. Con il mattino, i dolori sono scomparsi.
Storie per calmare il male. Le storie della notte.